domenica 29 marzo 2009

Madri a tempo pieno

Spesso mi domando che differenza c’è tra la solitudine che prova una donna che lavora quando diventando madre deve fare i conti con la carenza dei servizi, l’eventuale latitanza dei nonni, o la distanza geografica dei medesimi e di tutte quelle cose che fanno da contorno (anzi di tutte quelle cose che sono assenti come contorno), e quella che prova una donna che quando diventa madre decide, se può permetterselo, se lo desidera, di essere madre a tempo pieno. Mi pare che oggi quando una donna investe tutto il suo tempo nella maternità, debba in qualche modo giustificarsi, come se solo la donna che lavora sia in casa che fuori casa potesse contare su un’identità più riconosciuta a livello collettivo. Esistono donne che caricano i figli di aspettative che loro medesime non riescono ad esprimere, e questo è certamente un guaio per quei figli. Ma ne esistono altre che semplicemente nell’essere madri esprimono la loro creatività: lo fanno in modo sano, non aspettandosi riconoscenza eterna, non sentendosi chiuse in un ambito troppo stretto, non blaterando a destra e manca che la loro è l’unica scelta giusta e possibile. Sono donne a proprio agio nel loro ruolo di madri a tempo pieno per un periodo lungo della vita. Così lungo che poi la madre lascia il posto naturalmente al ruolo di nonna, una nonna che sarà poi una buona rete per la generazione successiva. Oppure sono madri a tempo pieno per un lustro o qualche anno in più, rinviando a data da destinarsi eventuali decisioni professionali. Temo però che oggi donne così si sentano fuori posto tanto quanto le madri che lavorano. In un modo o nell'altro il rischio di sentirsi inadeguate è sempre dietro l'angolo pronto a balzare addosso.

martedì 24 marzo 2009

Segnalazione

Una mia collega mi chiede se può usare il libro come traccia per un percorso di arteterapia e io ben volentieri segnalo questa iniziativa per le donne dei dintorni che possono essere interessate.
L’arteterapia è un buon strumento per stare in compagnia della propria anima.

domenica 22 marzo 2009

Di libri e di blog

Ho scoperto le mamme blogger nel 2006, durante la scrittura del libro. Mi piacque molto il loro modo di raccontare la maternità e continuai a seguirle costantemente, pur non commentando mai. Mi spiaceva palesarmi e poi sparire. Il libro richiedeva tempo e dovevo per forza di cose fare delle scelte. Dunque leggevo e apprezzavo. Silente. Qualcuna l’ho contattata via mail, per chiedere informazioni in merito ai corsi pre e post parto della zona o per esprimere il mio apprezzamento per qualcosa che aveva scritto. Sono stati scambi molto piacevoli e utili per avere una visione più ampia sulla maternità. Poi, ogni tanto, ho iniziato a commentare. Inizialmente con il pudore di chi teme di invadere un campo altrui, poiché pur essendo anch’io madre, i miei figli hanno quell’età in cui è probabile che io non tardi a diventare nonna. E ovviamente la mia quotidianità è diversa da quella di chi è alle prese con bambini piccoli. Tuttavia il loro linguaggio, il vostro linguaggio, mi piaceva molto e - in ritardo di un po’ di lustri-, ho iniziato a sentire l’appartenenza a un gruppo di persone che diceva cose affini alle mie in merito a un determinato argomento. Cosa non così consueta per me, e oltremodo apprezzata. Iniziai a parlare delle mamme blogger suggerendone la lettura ogni qualvolta ne avevo occasione. Un giorno feci un intervento in una radio e mi capitò di consigliare di usufruire della rete, per- dissi- “la capacità che hanno le mamme blogger di raccontare la maternità sfrondandola dai luoghi comuni”. La giornalista che mi stava intervistando mi guardò un po’ perplessa quando vi citai, e non era la prima volta che ricevevo quel tipo di sguardo quando parlavo dei blog. Mi pareva l’ennesima situazione in cui il tema della maternità era sottovalutato. E l’ennesima situazione in cui di fronte al nuovo, la mente si chiude e non intende lasciare spazio a possibili aperture.Tornai a casa, aprii la posta, e trovai l’invito della mia casa editrice per Ingresso Lib(e)ro. Fra le varie iniziative della giornata era prevista una sessione dedicata alle madri. Molto bene, mi dissi. Nell’arco di 24 ore (che noi donne, abbiate paziente uomini che leggete, sulle cose organizzative quando qualcosa ci appassiona siamo velocissime), la Magi edizioni ha dato l’ok alla mia proposta e piattinicinesi ha detto “Sì, certo che vengo a parlare della mia esperienza di mamma blogger”. Le virgolette sono mie, non ricordo con esattezza se ha detto proprio così, ma il succo è proprio quello. E dunque: sabato 28 marzo, alle ore 15, all’ AVR (Centro Congressi) - Via Rieti,13 - zona Piazza Fiume - Roma - parleremo di stereotipi e realtà dell’essere madre, e se avete tempo, voglia, interesse per l’argomento e desiderate partecipare, sarete davvero benvenute. Io sarò emozionatissima, che parlare in pubblico del mio libro non è esattamente ciò che preferisco (eufemismo), ma piattinicinesi rimedierà di certo (grazie piattina) e dopo ci possiamo rintanare in qualche angolo tutte insieme: due risate, un caffè e iniziamo a metter giù la bozza di una lettera da inviare alla Mara Carfagna; mittente: mamme blogger (che nel frattempo ho aperto pure io il blog), destinatario: Pari Opportunità, oggetto: migliorare la condizione delle madri.

domenica 15 marzo 2009

Conciliazione

-Papà, mamma dov’è?
-Al computer.
-Mi sa che prepariamo noi la cena questa sera!
-Sì, e dopo iniziamo anche a scrivere un libro sulla solitudine dei padri e dei figli…

Secondo me hanno confuso la parola solitudine con “conciliazione”. Ah! ma noi donne siamo brave a spiegare il significato della conciliazione, che conosciamo così bene, ora ci ri-provo.

sabato 14 marzo 2009

La svolta


E poi un giorno ti svegli e l’unico desiderio che ti accompagna è quello di andartene lontano, non importa dove, importa mettere una distanza considerevole da una vita che non ti appartiene. Te la sta rubando una madre invadente, un padre esigente, un lavoro che chiede troppo dando in cambio troppo poco o un lavoro che manca anche se hai studiato anni per averlo. Te la sta rubando l’essere madre quando diventarlo ti fa scoprire che è molto più complesso di quanto avevi immaginato. Te la sta rubando un uomo che vede sempre meno in te la donna e sempre più la madre. O un uomo violento, o molto assente o chissà che altro. Te la sta rubando anche quella parte di te troppo compiacente a una o più di una di queste cose e allora se è l’ennesimo giorno che ti svegli e l’unico desiderio che ti accompagna è quello di andartene lontano, sei sulla buona strada per fuggire da qualche gabbia stretta, correndo verso te.

domenica 8 marzo 2009

Mamme In Blog

E’ partita stamattina su Raitre alle 7.30 la prima di trenta mini-puntate (sei minuti) di un programma per bambini. Il tema è: le mamme in relazione al lavoro e ai figli. E’ stato piacevole vedere un programma lontano dalle solite rappresentazioni stereotipate che ci sono su madri e bambini, e indubbiamente ce n’è un gran bisogno. Forse non a caso si chiama “Mamme In Blog”.

Tacco 12


Avevo scritto un post per l’8 marzo. Era un grazie alle donne del passato per tutto ciò che hanno fatto affinché il loro posto, il nostro posto non fosse circoscritto ai muri di casa, in relazione a un padre, un marito, un figlio. Che hanno spostato l’orizzonte in territori nuovi, forse più scomodi, certamente più vivi. Quelle che hanno fatto sentire forte la loro voce quando si trattava di diritto al voto, al divorzio, all’aborto, all’istruzione; che hanno speso entusiasmo e dolore, fatica e coraggio. Hanno tagliato ponti e mandato all’aria tradizioni, assaporandone il piacere e patendo le conseguenze. Pagando dei prezzi per cominciare a vivere fuori dalle convenzioni.

Dopo ho cancellato tutto e cestinato. Mi pareva di non aver aggiunto nulla a ciò che altre persone stanno scrivendo su questi tempi a tinte fosche, anni inquietanti per tutti ma per noi donne ancor di più. Poi ho letto Vanity Fair di questa settimana: sondaggio su Facebook per capire quanto una donna patita di scarpe può spendere in una vita intera. A conti fatti la cifra finale risulta essere quella di un appartamento di piccole o grandi dimensioni a seconda del luogo di residenza. E’ un po’ come per i soldi delle sigarette: sommata giorno per giorno la cifra è impressionante. Ma la cosa più impressionante è stato il commento di una ragazza che a quella passione non intende rinunciare nonostante il prezzo: “Con 290 mila euro col cavolo che ti compri una casa oggi. Con un tacco 12 un posto dove dormire lo trovi sempre!”. Allora ho pensato che invece di ringraziare le donne del passato facevo meglio ad avvisare qualche ragazza di oggi, non quelle che il tacco 12 lo mettono perché a loro piace e basta, ma quelle che lo usano come investimento, dicendo, per esempio: ”Cara la mia ragazza che pensi di aver detto una gran furbata, vorrei avvisarti, che mi sa che non lo sai, ma è di gran moda il tacco 16 e se passa nello stesso posto una di quelle che li indossa, sei nei guai, tanto quanto se il legittimo proprietario del posto in questione ha il calcetto con gli amici o è via per lavoro. A meno che il medesimo non sia gentile e ti offra un posto per dormire in cambio di bucato, pulizie, cucina, ecco cose così per le quali però davvero, se sei portata, ti consiglio scarpe comode”.

E se ora non cancello queste righe non è perché io creda d’aver scritto qualcosa che andava proprio detto, ma è perché sbattendo forte i tasti del computer ho smaltito almeno un po’ di incazzatura. Di questi tempi non è poco.

domenica 1 marzo 2009

Billy Elliot

E io che pensavo che Billy Elliot fosse un film che illustra molto bene cosa può accadere in una famiglia quando c’è un lutto troppo grande da sopportare, e tutto si congela. E quel dolore freddo come il ghiaccio dopo un po’ si scioglie e diventa rabbia e così succede che quella rabbia si trasforma e diventa altro. Per esempio la possibilità che la vita riprenda a scorrere attraverso un sogno da inseguire, così potente che la rabbia diventa forza e poi sostegno a chi a quel sogno non rinuncia. E invece scopro qui che di Billy Elliot è solo l’ultima immagine del film che viene usata come modello. L’ennesimo modello di successo propinato ai nostri figli, l’obiettivo da raggiungere. Tacendo una volta ancora l’importanza del viaggio, della disciplina, del coraggio, della speranza, e sì, anche del dolore e della capacità di trasformarlo, che in tutto il film sono così ben descritti.