domenica 28 giugno 2009

Tra volti e non volti

E’ il titolo di un video di Maria Grazia Tundo. E’ un sollievo vedere che noi donne iniziamo a ribellarci (o perlomeno a riflettere) su ciò che accade ai nostri corpi quando non si accetta il lavoro del tempo.

mercoledì 24 giugno 2009

Donne pensanti

Ho appena aderito a questa iniziativa di Panzallaria. Il blog donne pensanti. La misura è colma da tempo, dobbiamo provare a unirci, e fare qualcosa, donne e uomini che non pensano che le donne siamo merce. Firmare è un punto di partenza.

domenica 21 giugno 2009

Madri - donne assassine

Temporeggiavo a leggere Madri assassine, diario da Castiglione delle Stiviere. Temporeggiavo perché pur desiderando sapere che cosa aveva scritto la giornalista Adriana Pannitteri, dopo un viaggio all’interno dell’ospedale psichiatrico giudiziario, l’argomento appartiene a una di quelle aree nelle quali non vorrei mai entrare. Vorrei poter negare che esistono, semplicemente lasciando un libro dimenticato. Ma i meccanismi di difesa non funzionano all’infinito e dunque l’ho letto, e ne scrivo. E’ un bel libro. Con alcune testimonianze di donne che hanno commesso un figlicidio, alternate alla storia di Maria Grazia, figlia di una donna malata di depressione. Sono storie in cui l’elemento comune è la psicosi e dunque entriamo in aree nelle quali non mi sento di trarre alcuna conclusione. Il meccanismo che si attiva nell’istante in cui una persona decide di ucciderne un’altra, o decide di uccidere se stessa, ha a che fare con qualcosa di non spiegabile, non prevedibile fino in fondo. Un elemento però accomuna le storie raccontate. La solitudine. Un male comune a troppe persone ma di cui soffrono in particolare gli anziani e le madri. E che quando si accompagna a delle patologie già di per sé molto gravi, può creare una miscela esplosiva fino all’irreparabile.

Riguardo allo stesso tema esiste un capitolo all’interno di Come uccidono le donne di Giuliana Kantzà, che poi amplia il discorso alle donne che uccidono i genitori, a quelle che uccidono per gelosia e altri casi ancora.

Non posso certo dire che si tratti di letture lievi, ma chi è interessato agli aspetti oscuri della vita può trovare in questi libri delle belle pagine su cui riflettere.

La cosa che ogni volta mi lascia perplessa, anzi che mi fa parecchio arrabbiare, di fronte a tragedie di questo tipo, è leggere che i familiari, di frequente, non si erano accorti del malessere della donna. O che l’avevano sottovalutato. Come si fa, mi domando, a vivere accanto a una persona e non rendersi conto che è al limite? Come si fa a farsi bastare le parole della stessa donna, la quale, lei per prima a volte, nega il suo star male? Ci sono persone che non hanno problemi a condividere le loro fragilità, ce ne sono altre che piuttosto di ammetterle arrivano a toccare limiti sottili come la lama di un rasoio. E tragicamente talvolta a sorpassarli. Sto pensando anche ai tanti adolescenti che soffrono di disturbi alimentari e ai troppi genitori di questi che vivono nella beata inconscienza. Un familiare stretto non dovrebbe mai potersi permettere di essere cieco di fronte a queste cose. Perché non è disattenzione, è omissione di soccorso.

martedì 9 giugno 2009

La figlia oscura

Quante cose si fanno e si dicono ai bambini nel segreto delle case. Bianca aveva già un carattere gelido, è stata sempre così, inghiottiva le ansie e i sentimenti. Restò seduta su Mina, disse solo, scandendo le parole come fa ancora oggi quando dichiara le sue volontà come fossero le ultime: no, è mia. Allora le diedi uno spintone cattivo, era una bambina di tre anni, ma in quel momento mi sembrò più grande, più forte di me.
Le strappai Mina e lei finalmente fece gli occhi spaventati. Scoprii che le aveva tolto tutti i vestiti, anche le scarpette e i calzini, e l’aveva sporcata da capo a piedi con i pennarelli. Uno sfregio rimediabile, ma a me sembrò senza rimedio. Tutto in quegli anni mi sembrava senza rimedio, io stessa ero senza rimedio. Lanciai la bambola oltre l’inferriata del balcone.

Elena Ferrante, edizioni e/o

martedì 2 giugno 2009

Ricordi?

Ricordi quando ti ho detto, oltre il vetro dell’incubatrice, di non spaventarti se mi avessi sentita discutere con chiunque fosse entrato in quel momento e mi avesse scoperta a leggere la tua cartella clinica? Non intendevo più tollerare l’assenza di notizie sulla tua salute e quel nicchiare dei medici di fronte a mie domande più precise. Cercai, trovai e ti sorrisi. Ricordi la pazienza che hai avuto ad attendere che il tuo gemello iniziasse a camminare? Andavi ovunque facendo finta di tenermi per mano, ma fino a quando anche quel monello che insieme a te era nato non ha fatto i primi passi da solo, non hai voluto staccarti. E hai poi visto che i tuoi fratelli mica ti hanno aspettato a imparare a nuotare, e hai fatto i conti da solo con la paura che ti incuteva l’acqua quand’eri bambino. Sei gemello di un altro maschio che però somiglia al fratello più alto. E spesso sono stati loro due ad essere creduti gemelli. Dev’essere stato ben difficile conservare una propria identità con le molte domande e i visi stupiti di fronte a “no, sono loro due i gemelli, lui è il primogenito”. Il quale primogenito per un bel numero di anni ha avuto come obiettivo preciso quello di dividere una coppia che sentiva minacciosa per lui. Dal giorno stesso direi in cui gli ho spiegato (aveva tre anni) che non avrei potuto realizzare quello che lui considerava un suo diritto: “Mamma, loro sono due, io sono uno, adesso tu ne fai nascere uno grande come me”.

Ricordi?

E l’adolescenza e i suoi drammi i e i tuoi tentativi di evitare i conflitti sui quali non ti davo tregua e col cavolo, ti dicevo, ora ne discutiamo, invece.
Non so come poi (ma lo so, certo che lo so) a un certo punto hai 26 anni e un bagaglio di esperienze e progetti e passioni. Una di queste è l’Australia. Partirai a settembre e non è più soltanto un’idea, un sogno o parole che si accavallano ad altre, ma è un visto ottenuto e un volo prenotato. Dicevi in questi giorni del tuo desiderio di andare pur sapendo che tornerai poiché senti che le tue radici sono ben salde in questi luoghi. Non so se lo dicevi perché intuisci quella parte di me che io non dico, quella di ogni madre di fronte alle distanze di un figlio, anche di quelle che i figli li lasciano andare, o se davvero è così quel che senti. Può darsi. Sottovaluti forse ancora ciò che l’amore può fare e quanto un incontro può cambiarti la vita.

Tempo fa lessi in un libro che la nostra vita è come una casa. Il luogo, il terreno sul quale è costruita lo riceviamo in eredità dai nostri genitori. Se è fertile e soleggiato sarà più semplice costruire la nostra casa, che comunque è compito nostro. Se ereditiamo un terreno arido avremo più lavoro da fare, faremo più fatica. Io mi auguro che tu non debba lavorare troppo per bonificare il terreno, in modo tale che ti rimarranno più energie per costruire ciò che sarai.

E allora io a te, che discuterai la tesi tra qualche giorno, a te che consideri cucinare un’arte e quando sei tu ai fornelli mangiamo in religioso silenzio per non rovinare i gusti con le parole, a te che scendi alle sei del mattino per poter fotografare un paesaggio con la luce giusta, se è la fotografia quel giorno il tuo pensiero. A te per il quale i computer non hanno segreti e senza il tuo aiuto non avrei mai iniziato a scrivere su questo blog, a te Francesco dico grazie per la strada percorsa insieme in questi anni. Il futuro è tutto da vivere.